Se una Radio è libera, ma libera veramente, non usa le play-list.
(tratto da www.igiradischi.com del 18 Aprile 2006)
Nella puntata di giovedì 9 marzo de “L’Incudine”, il programma che va in onda su Italia Uno e che è condotto da Claudio Martelli, si è discusso degli anni Ottanta. Tra gli ospiti c’era Carlo Massarini, che per tanto tempo è stato tra le figure professionali più apprezzate della Rai. Nel corso della trasmissione Massarini ha accennato al problema della Play-list, e di come esso danneggi i palinsesti delle radio pubbliche e private. Immaginiamo che i telespettatori ai quali non è estraneo il problema, per un attimo avranno avuto un sussulto. Si saranno detti: finalmente qualcuno che tira fuori l’argomento. Ma l’illusione è durata pochi secondi; perché tra una battuta e un’altra, e complice soprattutto una malcapitata pausa pubblicitaria, il tema, che pure aveva colpito l’attenzione dei presenti, non è stato approfondito. Di cosa si lamentava Carlo Massarini? Del fatto che rispetto al passato i programmi delle emittenti siano condizionati da un sistema di controllo della messa in onda, chiamato appunto Play-list. Un sistema che non solo ha peggiorato il livello dell’offerta radiofonica, abbassando gli standards generali, ma ha finito col diventare uno strumento di censura. Bisogna fare un passo indietro e spiegare per bene di cosa stiamo parlando; anche se parliamo di una cosa sotto gli occhi, sotto le orecchie, di tutti; ma sappiamo per esperienza che non tutti ci fanno caso fino a quando non viene fatto loro notare.
Ora non è più così, ammesso che in Italia lo sia mai stato, e
In quell’intervento di pochi istanti Massarini ha evocato una dimensione che non c’è più, che è scomparsa senza lasciare traccia. Come senza lasciare traccia sono spariti gli addetti ai lavori che hanno creduto in quell’esperienza, investendo tutte le loro risorse sulla musica di qualità e sulla sua diffusione. Ci sono ragioni storiche che spiegano questo fenomeno, poiché da noi occuparsi di canzonette non è mai stato giudicato un mestiere vero e proprio. Il boom della musica leggera avvenne negli anni Cinquanta, sulla scia del successo del Festival di San Remo, e prese in contropiede il mondo dell’editoria, che sbagliò la valutazione del fenomeno considerandolo transitorio. Ma sul momento bisognava soddisfare la curiosità degli utenti verso quella nuova area giornalistica; alla quale furono avviati, nel convincimento che l’interesse sarebbe stato di breve durata, coloro che bazzicavano le redazioni senza nessuna specifica competenza. L’idea era che parlare di Claudio Villa o di Modugno, di Mina o di Celentano, di Frank Sinatra o di Elvis Presley fosse una cosa che chiunque era in grado di fare. Questo spiega perché nel corso del tempo si alternarono numerosi critici competenti di musica popolare, di jazz, di canzone politica - come Testoni, Leydi, Straniero, Polillo, Liberovici - e pochi di musica leggera. L’avvento trent’anni fa delle riviste specializzate, seguito da quello dei libri e delle radio indipendenti, sembrava avere creato un movimento, assegnato una prospettiva.
Ora risuona beffarda, come una canzone agrodolce, la battuta di Achille Campanile; quando parlava dell’Italia come del paese delle inaugurazioni, ma non della manutenzione. Campanile non era un Disc-jokey, e pensava sicuramente ad altro quando pronunziò quell’amara osservazione, però ci aveva preso. Ci affrettiamo ad inaugurare Case del jazz o del cinema - e che ben vengano, ci mancherebbe - ma se cerchiamo di ascoltare un pò di buona musica alla radio possiamo attaccarci al tram. A meno che l’indomani non dobbiamo recarci al lavoro, allora possiamo stare svegli fino a notte tarda ed apprezzare l’offerta, raffinata ma esclusiva, di Radio Tre. Diventeremo dei carbonari: faremo le cose di nascosto, al buio, magari indossando una barba finta. E’ troppo poco. I colleghi della carta stampata tuonano di fronte al successo del pianista jazz Keith Jarrett, o del cantautore brasiliano Caetano Veloso. Che riempiono piazze e sale da concerto anche in Italia; ma che non sentiamo o vediamo da nessuna parte, come semplici utenti di radio e tv. Coloro che ci guidano nella vita e nelle scelte di ogni giorno hanno priorità più urgenti da provare a risolvere, ce ne rendiamo conto. Però fa rabbia, e provoca qualche sospetto, che le persone più attrezzate non ne discutano abbastanza nelle sedi opportune. La rinascita di un paese non passa esclusivamente attraverso l’economia; che, intendiamoci, rimane la componente fondamentale per l’abbattimento, o il ridimensionamento, dei problemi sociali. Tuttavia è importante riformulare realmente anche la questione culturale; scoprendone, in seguito, le sorprendenti ripercussioni anche sul piano economico. E la questione culturale non esclude, piuttosto coinvolge, l’educazione musicale. La qualità dell’ascolto ha eccome una valenza politica. E questa valenza non si esaurisce contattando i migliori architetti e realizzando Auditorium, che dovrebbero essere i punti d’arrivo di un processo di formazione. Al contrario, sono i punti di partenza che non troviamo. Eppure stiamo parlando di mandare in onda qualche bella canzone, mica progettare lo sbarco sulla luna. Ecco perché, nonostante ci sia parecchio da aggiungere - per esempio su come sono state amministrate, da parte dei professionisti del settore, quelle poche chances che sono state date - questo articolo somiglia più a uno spiraglio.
Vittorio Castelnuovo
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